Il futuro con ironia nella
scuola come comunità
Da Il Manifesto - 27/08/22 - Andrea Bagni
...Per tanti anni mi è capitato di arrivare triste e depresso, dopo le rassegne
stampa ascoltate in auto, e di uscire invece felice: per quello che avevo
vissuto, per quello che avevo sentito e visto negli occhi di ragazze e ragazzi.
Gli umani che abitano le aule sono capaci di scoperte, di riconoscimenti,
possono creare una comunità di dubbi e domande, conoscenze, desideri, come
abbracci che vanno oltre il set scolastico. E rovesciano la mega macchina
sempre più burocratica, sempre più ossessionata dalla contabilità di crediti,
debiti, rendicontazioni, medie e voti. Miserabili meritocrazie.
Ma forse quello che può arrivare dalle scuole in un certo senso prescinde dall’attività scolastica. Ha a che fare con
la dimensione comunitaria, con il campo magnetico di relazioni, di sapere e di
affetti; con la pedagogia, come scriveva Pasolini, prodotta anche dalle cose:
oggetti, paesaggi, modelli di comportamento e di “abitazione” delle aule.
Quando scrive il suo trattatello pedagogico per Gennariello, Pasolini esprime
tutto il suo orrore per il nuovo mondo borghese del consumismo universale,
della bruttezza generalizzata, dell’edonismo che distrugge i valori
dell’autenticità popolare di un tempo. Soprattutto nel mondo giovanile.
E tuttavia, a mezzo secolo di distanza, a me pare che nelle manifestazioni
del Friday For Future si sia visto qualcosa d’importante, e di sorprendente.
Almeno nella mia città, a Firenze. Intanto la dimensione ecologica ed etica che
impegna a sentirsi parte del mondo e non padroni, onnipotenti. Una dimensione
etica straordinariamente politica, come già nelle encicliche di Francesco, e
già nelle strade piene di giovani del Black Lives Matter.
Ma poi, con molta ironia buffa e corrosiva, una specie paradossale di
edonismo ribelle, di consumismo radicale, di disperata vitalità che chiede
tempo e spazio, cioè futuro. E che potrebbe essere incompatibile con il mondo
borghese neoliberista che la produce.
Per le
strade un mare di cartelli, soprattutto di ragazze, scritti a mano con modesti pennarelli,
sul retro di cartoni di amazon o di detersivi. Testi che partono spudoratamente
da se stesse.
...Intendiamoci, credo sia una specie di sentimento quello che si manifesta,
molto informe e fluido, che emerge ogni tanto. Sembra lontanissimo da qualunque
idea di organizzazione, di rappresentanza politica – più o meno quanto le
istituzioni politiche sono lontane da queste ragazze e ragazzi. Che nemmeno
vedono. E lasciamo perdere la sinistra, che ha realizzato la perfezione che
Giorgio Caproni attribuiva a Dio: quella di non esistere. Loro si
autorappresentano così, in una esplosione di alterità gioiosa, malgrado tutto.
La gioia che è sempre nel ritrovarsi e riconoscersi, però contro.
Può darsi esageri un po’ nelle speranze – peraltro senza una certa dose di
fiducia in ragazze e ragazzi non si può fare scuola né parlare di politica – ma
a me sembra che questo desiderio e gioia di vivere non siano spento conformismo
affine al potere, come lo descriveva Pasolini. Ma possibile conflitto. La
sessualità come rivendicazione di libertà e autonomia.
Desiderio ancora di pane e di rose, di amore e di futuro, che forse avvicina
ragazze e ragazzi del FFF ai giovani operai con orecchino e tatuaggi della (ex)
GKN di Firenze. Quelli che volevano fare una giostra per bambini con i robot
della fabbrica. Operai che non sono quelli degli anni 40 o 50 ma nemmeno credo
aspirino più all’omologazione con la squallida piccola o grande borghesia.
Impossibile. Deprimente.
La lotta di classe non è solo una questione economica, casomai di economia
politica. C’è un piano su cui hanno vinto i padroni. In un’antica
vignetta geniale di Altan, quando un compagno dice, Cipputi mi sa che la lotta
di classe è finita, lui risponde: Allora qualcuno avverta i padroni, che non
continuino da soli. Ecco, hanno continuato. Solo loro. Difficile che
perdessero.