11 September 2021

 «Una canna che produce miele senza la partecipazione delle api»

Dall'India a Venezia e in America, un viaggio attraverso deserti, mari e ocenai di una pianta, di una molecola e di esseri umani (dai mercanti arabi e veneziani alla schiavitù degli africani nelle americhe)...
 
La storia della canna da zucchero - Dall'articolo di A. Giraudo, Il Sole 24 Ore 10/09/21

La parola “zucchero” deriva da un termine sanscrito (sakkara, in persiano shakare) e la canna da zucchero, probabilmente originaria dell’Asia meridionale, era coltivata in India oltre quattromila anni fa. (...)

canna da zucchero
Attorno al 360 a.C. i soldati di Alessandro Magno, ma soprattutto l’eccellente navigatore Nearco, uno dei suoi ufficiali, svelano agli europei l’esistenza dello zucchero. Nearco parla di «una canna che produce miele senza la partecipazione delle api». E Megastene, storico e geografo greco nato attorno al 340 a.C., che ha trascorso dieci anni in India soprattutto in veste di ambasciatore alla corte del re Chandragupta
Maurya, descrive nei dettagli la canna da zucchero. Il medico-botanico greco Dioscoride segnala che «esiste una specie di miele che si coltiva, e che si chiama zucchero; la consistenza è simile a quella del sale».

La coltivazione della canna da zucchero si concentra in Cina grazie a missioni di ingegneri agronomi inviati dalla dinastia Tang (dal 618 al 907 d.C.), in India (delta dell’Indo) e nel sud della Persia, dove le tecniche di raffinazione vengono sensibilmente migliorate; si producono infatti panetti di zucchero per il trasporto e il commercio, che aumenta con l’espansione musulmana: la Palestina, la Siria e l’Egitto
(piantagioni lungo il Nilo) diventano centri importanti con l’utilizzo di grandi mulini e di raffinerie. Gli scienziati arabi (come al-Idrisi, Ibn al-Awwam e al-Nuwayri) descrivono con dovizia di particolari la sua produzione (in particolare la tecnologia idraulica), il processo di raffinazione e l’utilizzo dello zucchero di canna.

Per soddisfare una domanda in forte aumento, alimentata dalle crociate – un potente promotore del consumo di zucchero – la canna da zucchero viene coltivata nelle isole di Cipro, Creta, Malta e in Sicilia. Lo zucchero diventa fonte di guadagni consistenti per i primi califfi arabi. I mercanti veneziani intuiscono le potenzialità del nuovo prodotto e acquisiscono progressivamente il monopolio commerciale dell’oro bruno, che in Europa si comincia a chiamare «sale arabo».

A partire dal 1297 Venezia organizza un convoglio (la muda) per importare lo zucchero in città. Tra il 1305 e il 1350 le navi scaricano sui moli della Serenissima zucchero prodotto a Cipro, nelle pianure costiere della Siria e nella regione compresa tra il Tigri e l’Eufrate; a partire dal 1350 c’è una galea speciale per il trasporto dello zucchero imbarcato a Beirut: si tratta della galea zacharorum.

È Cristoforo Colombo a cogliere per primo la possibilità di diffondere la coltivazione della canna da zucchero nelle Indie occidentali. Tra i vari obiettivi del suo secondo viaggio (la spedizione che parte da Cadice il 25 settembre 1493) c’è la fondazione di una colonia su Hispaniola (l’odierna Santo Domingo), dove il navigatore introduce piante di canna da zucchero provenienti dalle Canarie.

Nel 1600 Olivier de Serres pubblica il Théâtre d’agriculture et mesnage des champs, un testo fondamentale per le pratiche agronomiche. Grazie all’impulso dell’agronomo e botanico francese si diffonde la produzione della seta e in Francia vengono introdotti il mais e il luppolo. La produzione della canna da zucchero dei Caraibi e del Brasile, in forte rialzo e favorita dal commercio triangolare, provoca un abbassamento dei prezzi. A Londra, tra il 1650 e il 1680, il prezzo al dettaglio di una libbra di zucchero passa da 1,5 shilling a 0,8 shilling; tra il 1677 e il 1687 i prezzi diminuiscono di un terzo ad Amsterdam. Il regno di Bambara, nato nel 1710 nella regione del fiume Niger, diventa il principale fornitore degli schiavi venduti a questi Paesi.
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carro per il trasporto della canna - Australia

Foto di G. Scotto di Clemente