16 September 2022

 Edgar Morin...cent'anni di saggezza


Da "La Stampa - 14 settembre 2022"

...Dal 1492, anno d'inizio della conquista delle Americhe e della circumnavigazione del globo, siamo entrati nell'era planetaria: quella in
cui tutte le regioni del mondo diventano progressivamente interdipendenti. Fino a oggi dominazione, guerra e distruzione sono state
le principali artefici di questa nuova era. Siamo ancora nell'età del ferro planetaria.
Nel luglio del 1945 un evento decisivo ha conferito all'era planetaria una qualità assolutamente nuova: gli scienziati atomici, la punta
di diamante del progresso scientifico, hanno creato l'arma capace di annientare l'umanità. Dopo le ecatombi di Hiroshima e Nagasaki,
la minaccia si è ingrandita e amplificata: nove nazioni, alcune delle quali fra loro ostili, si sono dotate di armi nucleari e nel complesso
dispongono di un arsenale nucleare di più di tredicimila bombe. Altrettante spade di Damocle che pendono sopra otto miliardi di teste.
Da quel momento il progresso scientifico ha rivelato la sua terrificante ambiguità. La scienza più avanzata è diventata produttrice di
morte per ogni civiltà. La razionalità scientifica ha mostrato il suo volto irrazionale. Il progresso della potenza umana è sfociato
nell'impotenza umana di controllare la propria forza. Ma tutto questo è come anestetizzato dal sonnambulismo generale della nostra
vita quotidiana.
Mezzo secolo fa il rischio ecologico globale di molteplici enormi disastri si è palesato senza che le classi dirigenti e la popolazione ne
prendessero coscienza. Le sue cause non risiedono soltanto nelle energie inquinanti che predominano nelle nostre economie ma
soprattutto nello scatenamento tecnico-industriale volto al rendimento e al profitto, guidato sia dalla frenesia del capitale, sia dalla
volontà di potenza degli Stati. Queste forze possenti dominano le menti umane che le dovrebbero dominare.
Ed è ancora una volta il progresso, nella sua forma tecno-economica, a condurre verso il disastro.


L'antropocene è anche il thanatocene.

(...)
La vera sfida non è cambiare la natura umana ma inibirne il peggio e favorirne il meglio.

Terra!


È possibile delineare, in questa prospettiva, una politica dell'umanità che abbia come scopo quello di perseguire e sviluppare il processo di umanizzazione, inteso come miglioramento delle relazioni fra gli esseri umani, fra le società umane e fra gli uomini e il loro pianeta?

Non potremo eliminare il dispiacere e la morte, ma possiamo aspirare a un progresso nelle relazioni fra esseri umani, individui, gruppi, etnie e nazioni. Rinunciare al migliore dei mondi non significa affatto rinunciare al mondo migliore.
Civilizzare la Terra. Constatiamo la potenza delle forze regressive e il proseguimento della corsa verso l'abisso. Eppure ci restano dei principi di speranza.


Il primo è puntare sull'improbabile. La speranza è nell'improbabile.

Il secondo principio di speranza si fonda sulle possibilità e la creatività della mente umana. Le capacità cerebrali dell'essere umano sono in grandissima parte non sfruttate. Siamo ancora nella preistoria della mente umana. Le sue possibilità sono incommensurabili, non solo per il peggio ma anche per il meglio. Se sappiamo come distruggere il pianeta, abbiamo anche la possibilità di sistemarlo.


Il terzo principio di speranza si fonda sull'impossibilità di durare all'infinito di qualunque sistema che trasformi la società e gli individui in macchine. Qualsiasi macchina ritenuta perfetta avrà sempre dei malfunzionamenti che la incepperanno o addirittura la romperanno. E l'ordine più totale e più implacabile non potrà sfuggire, prima o poi, al secondo principio della termodinamica: l'inesorabile disintegrazione.
La nuova politica umanista di salute pubblica è il grande progetto che può risvegliare le menti prostrate o rassegnate. —

03 September 2022

 Incontri

 

Nuova edizione del romanzo...

Raccontıamo una avventura di coraggıo, amıcızıa e determinazione, che attraversa alcuni tra i momenti più significativi della storia del nostro Paese.

Il romanzo è diviso in scene, le descrizioni di luoghi e situazioni sono affrontate con colori, suoni e rumori in uno stile quasi cinematografico.

Paolo e Francesca, il «Brigante» e il  «Geometra» sono attimi che si muovono lungo «fasci di rette» che  sfiorano la parabola della storia; le loro storie sono «punti di meraviglia matematica», identitari movimenti  intessuti nell’ordito dello spazio-tempo.

Come «il Barocco … piega, piega le pieghe, all’infinito», allo stesso modo si dischiude l’intreccio di queste vite: siano garibaldine o papaline, sabaude o borboniche o genericamente ribelli, esse custodiscono l’orgoglio  del naufragio, «onde infinite»  già in bilico sulla spuma, prima di infrangersi sulla roccia del porto. Come i protagonisti, tutti noi siamo punti di tangenza «descritti dal piano cartesiano che ci contiene».

La macina della Storia costringe, come comprese Nietzsche, al ritorno dell’identico: così, lungo la stessa circonferenza dei Moti del 1848 corrono le rivendicazioni sindacali e le contestazioni studentesche del ‘68; dall’incursione veneziana di Radetzky si giunge, senza accorgersene, agli scandali del Petrolchimico. Il processo svuota il tempio dal suo custode: ma se «la Sibilla proprio non c’era!» , traspare dalle nicchie, a ben vedere, una nuova fonte di luce, che è dichiarazione d’intenti: «la filosofia algebrica» di Borges, che compare sin dall’introduzione e sigilla il racconto.

Scrisse Foucault che  dell’individuo non resta «che un’impronta sulla sabbia». Nondimeno, nella tempesta della Storia Universale, dove il bene e il male cozzano come particelle in un acceleratore del Cern, le nubi si riempiono delle grida degli oppressi e  irrompe dalla nostra tradizione letteraria la folgore del Manzoni ad annunciare il maestrale: «eran le parole più distinte dell’urlio orrendo, che la folla mandava in risposta».