27 October 2022

 A proposito del Ministero del merito...


Da Il Sole 24 ore del 26 ottobre...

La sfida vera del nostro tempo è formare insegnanti che insegnino a imparare

I processi educativi della scuola italiana e più in generale dei sistemi di
apprendimento degli adulti, si stanno ponendo, seppur timidamente, la domanda su
come adeguarsi alle sfide di una società in così rapida ed intensa evoluzione, nel
pieno della quarta rivoluzione industriale caratterizzata dalle tecnologie digitali.
Un nuovo scenario che richiede alle persone e alle organizzazioni di apprendere
continuamente, disapprendere modelli e categoria consolidate, per riapprendere in
forme nuove e creative le competenze richieste al momento, che presto saranno
sostituite da nuove competenze.
Sono rivoluzionate tutte le categorie dell’apprendimento sulle quali si è fondata e
formata la cultura delle generazioni del passato. Apprendere per tutto l’arco della
vita è la nuova normalità, imparare a imparare, continuamente, per tutto l’arco della
vita, è la competenza chiave, madre di tutte le competenze del nostro futuro.
Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 4 giugno 2018, troviamo
pubblicata la Raccomandazione del Consiglio relativa alle competenze chiave per
l’apprendimento permanente e la definizione stessa del concetto di competenza,
composta da tre dimensioni tra di loro integrate:
1 La conoscenza, che si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già
stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento;
2 Le abilità, dove si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi e applicare
le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati;
3 Gli atteggiamenti, che descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire
a idee, persone o situazioni.
I modelli formativi tradizionali sono ancora sbilanciati sulla prima dimensione,
quella della trasmissione dei saperi e della valutazione basata sulla dimostrazione di
averli acquisiti.
(...)
Per Carol Dweck, docente di psicologia presso la Stanford University, in un suo
recente libro, tradotto in tutto il mondo e in Italia edito da FrancoAngeli, Mindset.
Cambiare forma mentis per raggiungere il successo il lavoro più importante da fare
è sugli atteggiamenti, prima ancora che sulle conoscenze e per questo è utile passare
da forme di valutazione scolastiche basate prevalentemente sull’abilità dimostrata
sulla singola prestazione, il singolo compito, la capacità di memorizzazione, alla
creazione di contesti che allenino giovani e adulti alla scoperta e acquisizione del
proprio processo di apprendimento, che servirà da base per tutti gli apprendimenti.
Dweck dimostra come la scuola tradizionale rischia di creare quella che definisce
come «mentalità fissa», cioè la convinzione di essere un bambino o un adulto più o
meno intelligente, più o meno di valore, di poter affrontare o evitare le sfide. Viene
fissata la convinzione che l’intelligenza è una qualità innata, così come abilità come
il coraggio, persone portate al successo o alla marginalità. I modelli di valutazione
con i tradizionali voti, i test, non fanno che confermare e fissare queste convinzioni.
Dweck stimola i mondi educativi a sviluppare una forma mentis opposta, definita
«mentalità dinamica», perché l’intelligenza di ogni persona può essere
continuamente sviluppata, così come tutti gli aspetti caratteriali. Un atteggiamento
che alimenta la passione di apprendere, sa accogliere le sfide, apprende dagli
insuccessi, dalla prova andata male, dai successi degli altri, impara dalle critiche,
accetta gli sforzi e si allena alla persistenza.
(...)
È interessante il dibattito che si è aperto sulla parola «merito», per la nuova
definizione del ministero dell’Istruzione e del Merito. La parola merito è per sua
natura polisemica, con più significati attribuiti, spesso in contrasto tra di loro, frutto,
frequentemente, del filtro ideologico dell’osservatore. Il Forum della Meritocrazia
fornisce un preciso significato: uguaglianza delle opportunità, riconoscimento del
talento, valorizzazione del merito, per un Paese equo. L’impatto di questa visione
non permette semplificazioni o scorciatoie in ambito formativo, perché non ci può
essere valorizzazione del merito senza creare le condizioni per la valorizzazione del
potenziale di ogni persona.
Un cambiamento che può iniziare anche con piccole riforme, riforme a costo zero,
ma potenti sul piano simbolico. Mi permetto di suggerirne una, solo apparentemente
provocatoria.
È quella di cambiare il sistema di valutazione scolastica, dove più che valutare la
singola prestazione si valuta il processo di apprendimento attivato. Una prova
insufficiente, non sarà quindi valutata con un voto negativo, ma con un «non ancora
8», cioè per dare il segnale che, seppur la prova non è adeguata, l’identità del
bambino, dell’adolescente, non è fissata nell’insufficienza, ma nel non aver ancora
acquisito la modalità di esprimere una prova eccellente e che dovrà impegnarsi,
accettare sfide, allenare le tante piccole e grandi abilità personali, quelle indicate
nella Raccomandazione dell’Unione europea, che faranno di lui una persona che
potrà valere più di 8. Finora, nel mondo, insegnanti straordinari riescono a gestire
queste nuove modalità di insegnamento. I metodi di questi insegnanti possono
diventare la normalità, per valorizzare il talento e riconoscere il merito di ognuno.
Alle difficoltà di apprendimento, non si risponde abbassando la soglia dell’impegno
e delle sfide, come troppe volte è successo, né tanto meno emarginando ed
espellendo, chi non riesce a raggiungere gli standard minimi richiesti nelle singole
prove.