Incontri
Raccontıamo una avventura di coraggıo, amıcızıa e determinazione, che attraversa alcuni tra i momenti più significativi della storia del nostro Paese.
Il romanzo è diviso in scene, le descrizioni di luoghi e situazioni sono affrontate con colori, suoni e rumori in uno stile quasi cinematografico.
Paolo e Francesca, il «Brigante» e il «Geometra» sono attimi che si muovono lungo «fasci di rette» che sfiorano la parabola della storia; le loro storie sono «punti di meraviglia matematica», identitari movimenti intessuti nell’ordito dello spazio-tempo.
Come «il Barocco … piega, piega le pieghe, all’infinito», allo stesso modo si dischiude l’intreccio di queste vite: siano garibaldine o papaline, sabaude o borboniche o genericamente ribelli, esse custodiscono l’orgoglio del naufragio, «onde infinite» già in bilico sulla spuma, prima di infrangersi sulla roccia del porto. Come i protagonisti, tutti noi siamo punti di tangenza «descritti dal piano cartesiano che ci contiene».
La macina della Storia costringe, come comprese Nietzsche, al ritorno dell’identico: così, lungo la stessa circonferenza dei Moti del 1848 corrono le rivendicazioni sindacali e le contestazioni studentesche del ‘68; dall’incursione veneziana di Radetzky si giunge, senza accorgersene, agli scandali del Petrolchimico. Il processo svuota il tempio dal suo custode: ma se «la Sibilla proprio non c’era!» , traspare dalle nicchie, a ben vedere, una nuova fonte di luce, che è dichiarazione d’intenti: «la filosofia algebrica» di Borges, che compare sin dall’introduzione e sigilla il racconto.
Scrisse Foucault che dell’individuo non resta «che un’impronta sulla sabbia». Nondimeno, nella tempesta della Storia Universale, dove il bene e il male cozzano come particelle in un acceleratore del Cern, le nubi si riempiono delle grida degli oppressi e irrompe dalla nostra tradizione letteraria la folgore del Manzoni ad annunciare il maestrale: «eran le parole più distinte dell’urlio orrendo, che la folla mandava in risposta».
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