Gustavo Zagrebelsky: "Altro che merito e umiliazioni in aula si cresce insieme l'eccellenza è un inganno"
Da "La Stampa" - 30/11/2022
...E' questa, l'eccellenza? Io credo che non lo sia, che eccellere significhi puntare alla crescita della classe, non del singolo».
E come si fa?
«Nella sua vita un insegnante è molto spesso, quasi sempre, di fronte a un bivio. Ha in classe una quota di bravi e una di non bravi, per le più varie ragioni. Cosa deve fare? Ripetere le stesse cose cento volte con i primi che cominciano a stufarsi per tirare su quelli non bravi? Oppure sacrificare quelli che hanno meno capacità lasciandoli indietro per andare oltre e far avanzare un pezzo di classe, l'avanguardia potremmo dire?».
E' un dilemma risolvibile?
«Non con una regola precisa. Non c'è una risposta generale e astratta. Ma un insegnante consapevole delle proprie responsabilità troverà un modo che passa, io credo, dal far capire ai più capaci che sono loro a doversi far carico degli altri. Superando l'atteggiamento egoistico di chi vuole primeggiare e dedicando molte energie ai meno bravi. Ecco, gli insegnanti che riescono a fare questo sono quelli
che in classe stanno bene».
Quindi porre il merito al centro della formazione è un modo strabico di guardare ai problemi della scuola?
«Una cosa è il merito, un'altra la meritocrazia. Perché il merito più che al potere – kratos - dovrebbe essere collegato alla responsabilità. Il tuo merito deriva da quel che la scuola ti ha offerto, quindi ora devi restituire».
Non mi pare l'idea che va per la maggiore nel governo e anche in un pezzo di centrosinistra.
«Certo, perché l'idea dominante è passare sopra la testa degli altri, fare carriera. ...
Dove va a finire la loro libertà?».
La scuola italiana è pubblica. Qualcuno in modo spregiativo dice: di massa. Lei scrive, di tutti. Eppure ha tratti di elitarismo, esclusione sociale, segregazione dei meno bravi. Com'è possibile?
«La formazione delle classi è un atto politico che dovrebbe essere discusso da tutti, non affidato a criteri irrazionali come l'indirizzo di casa o le pressioni dei genitori influenti. ...
Ecco, anche nella scuola mi pare ci siano i sommersi, quelli che hanno meno strumenti e più difficoltà; i salvati perché più studiosi, fortunati o furbi; e poi una vasta area grigia».
Cosa vede nella zona grigia?
«Vedo apatia. E questo mi fa paura. Se pialliamo gli studenti riempendoli di nozioni, uccidiamo la loro creatività e non ci rendiamo conto del danno che facciano alla società tutta intera».
Lei, eresia o utopia, propone anche di abolire i voti. E forse anche l'interrogazione vista, con un po' di sadismo, come interrogatorio.
«L'esame deve servire a controllare la preparazione di base, il terreno minimo per fare un discorso sull'argomento in questione, la capacità di articolare un pensiero autonomo. Il resto non serve. Io nei miei ultimi anni di insegnamento distribuivo solo 30. I miei amici mi chiedevano: ma come? E io: ma non sapete quanti ne ho mandati indietro perché tornassero più preparati sulle basi!».
Il contrario dell'umiliazione.
«Esattamente. Ma le idee che circolano oggi, in tempi di restaurazione dell'autorità quale che sia, viene da chi pensa che la scuola, la classe, gli studenti, gli insegnanti, siano una cosa morta. Da plasmare, manipolare, rendere uniforme. Altri, fortunatamente, pensano che la scuola sia e debba essere una cosa viva. L'incontro con la realtà viene prima di qualsiasi dogma, di qualsiasi assioma pedagogico,
di qualsiasi circolare o linea-guida ministeriale».
Questa politica parla di ragazzi, di studenti, come qualcosa da correggere, raddrizzare, redimere.
«Esattamente. Ed è grave quando questo tipo di messaggio arriva non tanto dal mondo della scuola, ma dall'alto, dal ministro. A me le riforme della scuola sono sempre interessate poco. Perché se vuoi migliorare devi partire dall'esperienza. Ci sono tante energie che andrebbero scoperte, sollecitate. La lezione è il momento principe. Può e deve essere un'ora d'amore appassionato per la conoscenza
che, se hai incontrato una volta, potrebbe accompagnarti per tutta la vita». —